Pare non esserci pace per i nostri titoli di Stato: tra manovre raffazzonate e al limite del ridicolo su alcuni aspetti e credibilità zero agli occhi degli investitori, i nostri Btp hanno preso la via della correzione – per ora moderata – con rendimenti in allargamento. Per carità, nulla di che, visto che tutti i governativi area Euro hanno rendimenti in rialzo e di fatto lo spread è sempre agli stessi livelli.
Il problema però è potenzialmente in divenire, fermo restando che il nostro Credit Risk è decisamente basso all’interno dell’eurozona. Se le pressioni della Germania in merito alle questioni ferme sul tavolo di Vigilanza BCE dovessero trovare soddisfazione, per il nostro debito pubblico – e non solo – potrebbero essere dolori. Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire.
Come sappiamo, le banche italiane posseggono asset governativi per un controvalore medio di circa 400 Mld Euro, cioè largo circa il 20% dell’intero debito pubblico negoziato sui mercati. Se ragioniamo in termini di valore assoluto, l’esposizione è più che raddoppiata rispetto agli anni antecedenti la crisi dello spread. Ciò è accaduto (creando una distorsione) per la convenienza ad investire in titoli divenuti più remunerativi e, complice la montagna di liquidità messa loro a disposizione dalla BCE a costo nullo o quasi, le nostre banche hanno trovato profittevole puntare sui bond del Tesoro, di fatto “sicuri”, anziché prestare denaro a rischio a famiglie e imprese.
Tanto per cambiare, alla Germania questa commistione non piace, poiché a suo dire genera un circolo vizioso tra rischi sovrani e rischi bancari. Tecnicamente non è sbagliato, perché quando il mercato vende Btp, il loro prezzo naturalmente cala e ciò colpisce a cascata i titoli bancari, in quanto potenzialmente esposti a perdite per la parte dei bond detenuti nei portafogli.
E così il ministro delle Finanze tedesco ha perorato nei giorni scorsi la causa della garanzia unica sui depositi bancari per l’Unione Europea, ribadendo però (ovviamente…) le condizioni irrinunciabili di Berlino, tra cui la valutazione del Credit Risk dei titoli di stato in pancia alle banche. Cosa non di poco conto, poiché sino ad oggi le banche possono acquistare titoli di Stato senza dover accantonare risorse a copertura dei rischi, a differenza di quanto invece accade con qualsiasi altra forma di erogazione di prestiti. E per i tedeschi questa situazione crea una distorsione a favore dei debiti sovrani e a sfavore delle economie reali: cioè le banche sarebbero sostanzialmente incentivate a prestare denaro agli Stati piuttosto che all’economia reale.
L’idea teutonica e allo studio della Vigilanza BCE è quindi quella di porre un limite alla quantità di bond governativi che una banca può detenere in base ai ratios patrimoniali; inoltre la proposta è anche di considerare i bond governativi come assets soggetti ai rischi (e quindi non più “free-risk”) e costringere così le banche ad accantonare risorse a copertura in misura diversa a seconda del rating. Il che metterebbe i nostri Btp in seria difficoltà, visto che le banche (e non solo quelle italiane…) se ne libererebbero in larga parte per non violare le eventuali limitazioni, ma soprattutto per non dovere accantonare risorse a copertura dei rischi.
In soldoni, la detenzione di Btp non solo diverrebbe costosa ma soprattutto lo sarebbe in misura superiore a quella di quasi qualsiasi altro bond governativo europeo, visto che il nostro rating sovrano si colloca nella parte più bassa del comparto investment grade, come per il Portogallo, e sotto di quelli di Spagna, Austria, Francia, per non parlare poi di Stati con rating AAA come Germania, Olanda e Finlandia. Ecco quindi che potrebbero scattare vendite copiose con il doppio svantaggio di far crollare i prezzi dei Btp e causare alle stesse banche pesanti minusvalenze. Insomma, un bel problema, non c’è che dire. Come sempre staremo a vedere e soprattutto vedremo come agirà il nuovo governatore BCE per scongiurare scenari disastrosi.
Anche perché, in ultima analisi, bisogna considerare che nessun altro investitore sarebbe in grado di assorbire la massa in uscita dalle banche. Ad esempio, le famiglie italiane posseggono ad oggi direttamente solo circa il 5% dei Btp in circolazione, di fatto un terzo dei livelli precedenti al Quantitative Easing, e questo si spiega poiché è normale e comprensibilissimo che un piccolo investitore non trovi conveniente immobilizzare i propri risparmi per anni al fine di ottenere rendimenti risicati. La tendenza è ormai quella di preferire la liquidità “parcheggiata” in banca, pur con tutti i contro – reali e potenziali – che questa soluzione comporta.
Per carità, da un lato è plausibile che se la minore domanda da parte degli investitori istituzionali facesse risalire i rendimenti, tra i risparmiatori potrebbe tornerebbe l’interesse per i Btp, ma questo vorrebbe dire che lo Stato italiano spenderebbe di più per rifinanziarsi, e comunque la forza di fuoco dei risparmiatori retail non potrebbe certo assorbire l’ingente massa di carta messa sul mercato dai soggetti istituzionali. Questione spinosa, quindi, che dovrà necessariamente essere gestita anche a livello “politico” e non solo finanziario dalla BCE, onde evitare shock di portata per nulla trascurabile. Staremo a vedere.