In Gran Bretagna la lettura dell’inflazione di settembre ha fornito un segnale significativo: l’incremento dei prezzi al consumo è rimasto al +3,8 % annuo, proprio come ad agosto, e al di sotto delle attese (4,0 %).
In particolare, l’inflazione dei servizi — che la Bank of England monitora con attenzione in quanto indicatore delle pressioni interne — si è attestata al 4,7 %.
Questa stabilità – seppure evidente in valori ancora elevati rispetto all’obiettivo del 2 % della BoE – ha alimentato le scommesse di mercato su un taglio dei tassi già entro fine anno: la probabilità attribuita al taglio è salita intorno al 70 % nei giorni immediatamente successivi alla pubblicazione del dato.
Il ragionamento è chiaro: se l’inflazione appare “in alto ma stabile”, la banca centrale potrebbe sentirsi più libera di allentare la stretta monetaria, a condizione che non emergano nuovi rischi di rialzo dei prezzi.
Va però fatto un duplice passaggio di lettura per comprendere il contesto: da un lato, il fatto che l’inflazione resti ancora quasi doppia rispetto al target della BoE (2%) significa che l’accomodamento monetario non è alle porte in modo automatico. Il comitato della BoE dovrà pesare con cura il bilanciamento tra sostenere una crescita moderata e tenere sotto controllo le pressioni dei prezzi.
Anche il budget del governo britannico – atteso il 26 novembre – entrerà in gioco: il ministro del Tesoro Rachel Reeves ha già dichiarato che intende sbloccare misure per alleviare il costo della vita e coordinarsi con la BoE su questo versante.
In secondo luogo, benché l’attenzione si concentri sul Regno Unito, non possiamo ignorare il contesto globale – in particolare quello statunitense – dal quale dipendono parte delle dinamiche finanziarie mondiali. Qui entra in gioco il rendimento del decennale USA.
Il rendimento del decennale USA nel nuovo paradigma monetario
Il rendimento del titolo di stato statunitense a 10 anni si è progressivamente ridotto negli ultimi mesi: ad esempio, il dato medio di settembre si è attestato a circa 4,12 %. I calcoli più aggiornati indicano un livello intorno al 3,98 % il 21 ottobre 2025.
Questa discesa è coerente con una lettura di mercato che prevede un allentamento della politica monetaria da parte della Federal Reserve nel corso del 2026. Tuttavia, come sottolineato da un sondaggio Reuters, molti analisti non credono che i rendimenti possano scendere molto più in basso nel breve termine, proprio perché l’inflazione rimane persistente e l’economia USA più resistente del previsto.
Dal punto di vista tecnico (anche se qui vogliamo privilegiare il contesto macro), strumenti di analisi come il Trendycator® indicavano una potenziale tendenza al ribasso per i rendimenti già da giugno‐agosto: in quel periodo i rendimenti si muovevano tra il 4,50% e il 4,20%, e da allora hanno danno corso ad una flessione strutturata.

In concreto, rendimenti in calo significano che i prezzi dei titoli già emessi salgono: una fase favorevole per chi ha già obbligazioni in portafoglio o per chi decide di entrare quando il mercato sconta un futuro di tassi più bassi.
Se poi la Fed dovesse davvero tagliare i tassi ma i rendimenti a lungo termine restassero elevati — perché l’inflazione attesa e il premio per il rischio non si riducono — il vantaggio si attenuerebbe: il cosiddetto carry, cioè il rendimento effettivo ottenuto mantenendo il titolo, diventerebbe meno interessante.
Infine, con un rendimento attorno al 4% sul decennale USA, quel livello si conferma come riferimento globale per tutto il mercato obbligazionario, condizionando i costi di finanziamento, le strategie di allocazione e i flussi di capitale anche in Europa e nel Regno Unito.
Il nesso tra UK e USA: che cosa osservare
L’unione dei due scenari – inflazione stabile nel Regno Unito e rendimenti USA in calo – offre diverse indicazioni utili per leggere il momento di mercato.
Nel Regno Unito, un’inflazione che resta stabile ma ancora alta suggerisce che la Bank of England potrebbe prendersi più tempo per osservare gli effetti della stretta prima di intervenire. Tuttavia, se i rendimenti globali – in particolare quelli americani – continueranno a scendere, l’ambiente finanziario più disteso potrebbe convincere la BoE ad anticipare un taglio dei tassi, anche per evitare un indebolimento eccessivo della sterlina o una frenata dell’economia.
Allo stesso tempo, la discesa dei rendimenti americani produce un effetto di spill-over: i capitali internazionali si orientano verso titoli britannici ed europei, riducendo i costi di rifinanziamento e offrendo ulteriore margine di manovra alla BoE.
Per gli investitori con maggior tolleranza ai rischi e che ritengono probabile un ciclo di tagli dei tassi, è possibile valutare un progressivo allungamento delle scadenze, soprattutto su titoli UK e USA (chiaramente al netto del rischio cambio che può essere gestito dinamicamente come abbiamo visto spesso nei Workshop live per gli abbonati Pro).
Infine, il quadro europeo resta un tassello fondamentale. Mentre Regno Unito e Stati Uniti si muovono verso una fase potenzialmente più morbida, la Banca Centrale Europea rimane più cauta, ancora concentrata sull’analisi dei dati interni. Per gli investitori italiani ed europei, sarà quindi essenziale monitorare non solo le decisioni di Londra e Washington, ma anche le reazioni della BCE a un contesto monetario globale che sta progressivamente cambiando tono.
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