Nei giorni che hanno preceduto le riunioni di FED e BCE di fine ottobre, il consenso di mercato dava per scontato un taglio FED da 25 punti base e, in Europa, un congelamento dei tassi da parte della BCE. Le anteprime si concentravano su due snodi: l’eventuale fine del QT negli Stati Uniti e il linguaggio delle conferenze stampa (come indicazione di forward guidance sul passo successivo).

È esattamente lì che si sono giocate alcue sorprese.

Prima delle decisioni: cosa si aspettava il mercato da FED e BCE

Le preview delle principali banche convergevano su due tagli FED entro fine anno (ottobre e dicembre), con forte probabilità di un annuncio sulla chiusura del QT. Il caso base prevedeva un Powell prudente, intento a inquadrare il taglio come gestione del rischio in un contesto di dati ufficiali parziali per via dello shutdown federale.

L’elemento chiave era capire se Powell avrebbe lasciato intendere un nuovo taglio dei tassi già a dicembre.
Anche solo una frase più cauta — o l’assenza di indicazioni chiare — sarebbe bastata per spingere i mercati a rivalutare in senso più restrittivo la politica monetaria, con rendimenti in rialzo e dollaro più forte.

Che cosa ha fatto la Fed

Il FOMC ha tagliato i Fed Funds di 25 bps, portando il corridoio a 4,00%–3,75%, e ha deciso di concludere il QT dal 1° dicembre, con reinvestimenti a bilancio per stabilizzare la liquidità. Nel voto sono emersi dissensi su entrambi i lati: Stephen Miran, ad esempio, era favorevole ad un taglio di  50 punti base, mentre per contro Jeffrey Schmid per nessun taglio.

Nel comunicato ufficiale, la Fed ha spiegato che il taglio dei tassi non nasce da un peggioramento dell’economia, ma da un cambiamento nel modo in cui valuta i rischi. In pratica, la banca centrale ritiene che oggi il pericolo maggiore non sia più un’inflazione troppo alta, ma un raffreddamento del mercato del lavoro e un contesto economico più incerto.

Tagliare i tassi serve quindi a riequilibrare la bilancia: ridurre la pressione sui costi di finanziamento per sostenere l’occupazione, ma senza spingersi troppo oltre, in modo da non riaccendere l’inflazione. È una manovra di gestione preventiva, pensata per evitare che l’economia rallenti troppo prima che ci siano segnali evidenti di debolezza.

La conferenza di Powell: il punto che ha cambiato il tono

In conferenza stampa Powell ha esplicitamente frenato le aspettative su un altro taglio già a dicembre: “non è una conclusione scontata”.

È stata proprio questa frase a muovere i mercati: Powell ha fatto capire che il taglio di dicembre non è affatto certo, lasciando aperte più possibilità per i prossimi mesi.

In pratica, ha tolto la certezza che la Fed sarebbe intervenuta ancora, e questo ha portato gli operatori a rivalutare le probabilità di nuovi tagli. Il risultato immediato è stato un mercato più prudente: rendimenti in rialzo, dollaro più forte e borse in lieve arretramento.

In sostanza, Powell non ha messo in dubbio la direzione generale della politica monetaria — il ciclo di allentamento prosegue — ma ha voluto rallentare i tempi, chiarendo che prima di decidere nuovi tagli serviranno dati economici solidi, non solo sensazioni di mercato.

Allo stesso tempo, la fine del programma di riduzione del bilancio (QT) dal 1° dicembre rappresenta un segnale importante: la Fed vuole evitare di togliere troppa liquidità dal sistema finanziario proprio mentre allenta i tassi.

In altre parole, cerca di mantenere l’equilibrio tra sostegno all’economia e controllo dell’inflazione, agendo con più prudenza ma senza cambiare rotta.

Che cosa ha fatto la BCE

A seguire la Fed, oggi anche la Banca Centrale Europea ha confermato un approccio di prudenza. A Francoforte, il Consiglio direttivo ha lasciato invariati i tre tassi chiave — rifinanziamento principale al 2,15%, depositi al 2,00% e prestito marginale al 2,40% — ribadendo una linea interamente dipendente dai dati.

Nel comunicato si legge che l’inflazione resta vicina all’obiettivo del 2% nel medio termine, con prospettive sostanzialmente invariate. La BCE ha riconosciuto una crescita debole ma stabile, sostenuta dagli effetti dei tagli già effettuati nei mesi scorsi, e ha confermato la riduzione graduale dei programmi APP e PEPP, senza nuove indicazioni sul futuro percorso dei tassi.

In sostanza, il messaggio è stato di continuità: la politica monetaria rimane in una fase di osservazione, con l’obiettivo di mantenere l’equilibrio tra stabilità dei prezzi e sostegno alla crescita. Nessuna apertura a nuove mosse nel breve periodo, ma nemmeno segnali di irrigidimento.

Attese e realtà: come i mercati hanno reagito a FED e BCE

Sul fronte americano, il taglio della Fed e la fine del QT erano ampiamente previsti e non hanno generato movimenti direzionali forti. L’attenzione si è spostata invece sulla comunicazione di Powell, che con un tono più prudente del previsto ha interrotto l’automatismo dei tagli successivi.

È stato questo il vero elemento di sorpresa: il mercato, che fino a poche ore prima dava quasi per certo un nuovo intervento a dicembre, ha dovuto rivedere le proprie aspettative, spostando l’orizzonte dei prossimi tagli verso il 2026.

In Europa, la decisione della BCE era anch’essa ampiamente prezzata. Il mercato ha reagito con calma, interpretando la scelta come un segnale di normalizzazione: inflazione ormai sotto controllo, crescita ancora fragile ma non in crisi, e nessuna urgenza di intervenire. In entrambi i casi, la parola chiave resta equilibrio: la Fed calibra la velocità del suo allentamento, la BCE mantiene la rotta in attesa di conferme dai dati macro.

Cosa resta nei prezzi

In questo momento i mercati si aspettano che la Federal Reserve mantenga i tassi d’interesse nel corridoio compreso tra il 3,75% e il 4,00%, almeno fino a quando non emergeranno dati economici chiari dopo lo shutdown federale.

Un nuovo taglio a dicembre non è escluso, ma dipenderà molto dall’andamento dell’occupazione e dai prossimi indicatori di inflazione: se il mercato del lavoro dovesse rallentare più del previsto, la Fed avrebbe motivo di intervenire ancora; in caso contrario, potrebbe preferire una pausa più lunga per osservare gli effetti delle misure già prese.

Sul fronte europeo, invece, la situazione è più statica. La BCE ha scelto di procedere passo dopo passo, valutando ogni decisione riunione per riunione. L’inflazione si sta ormai avvicinando al 2%, che è il suo obiettivo dichiarato, e questo lascia meno spazio di manovra rispetto alla Fed.

In sostanza, mentre gli Stati Uniti possono permettersi di aggiustare la politica monetaria in modo più flessibile, l’Europa si muove su un terreno più stretto, cercando di non compromettere la fragile stabilità economica che si è faticosamente ricostruita negli ultimi mesi.

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Dr. Massimo Gotta, giornalista-pubblicista iscritto all'Ordine dei Giornalisti di Torino. Laureato in Scienze Politiche e in Giurisprudenza è uno dei più apprezzati analisti finanziari italiani, tra i fondatori del Circolo degli Investitori e ha alle spalle una lunga carriera professionale nel mondo bancario e finanziario. Ha lavorato per il gruppo bancario Mediobanca e per Banca Sella come responsabile Ufficio Titoli e Borsino ed in seguito Gestore di patrimoni presso la struttura Private Banking. È stato docente per l’Università degli Studi di Torino e la Scuola di Amministrazione Aziendale di Torino. Massimo Gotta è un apprezzato opinionista per diversi media finanziari tra cui Repubblica.it, LombardReport.com, Il Valore, Class CNBC. È coautore con Walter Demaria di “Investire in obbligazioni” (TradingLibrary 2013) e autore di diversi altri libri tra cui “Il meglio dell’analisi tecnica in Metastock” (Experta 2006). Disclaimer: L’autore Massimo Gotta non detiene strumenti finanziari oggetto delle proprie analisi al momento della pubblicazione. Il nostro giornale rispetta la Carta dei Doveri dell’Informazione Economica Clicca qui--> Informazioni metodo Clicca qui-->

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