L’attività economica europea sorprende al rialzo, con il PMI composito (lettura flash di ottobre) che è salito a 52,2, il livello più alto da maggio 2024. È un dato che conferma la tenuta del settore servizi, trainato in particolare dalla Germania, dove il miglioramento è stato il più marcato da oltre un anno.
Sul fronte opposto, la Francia continua a rappresentare il principale punto debole dell’Eurozona, con un’economia che fatica a riprendersi e un contesto politico che alimenta l’incertezza.
Come ha osservato Cyrus de la Rubia, capo economista di Hamburg Commercial Bank, “la Francia sta diventando un freno strutturale alla ripresa europea”, complicando un quadro che, altrimenti, sarebbe apparso più solido.
Il settore servizi rimane comunque il motore principale: l’indice si è attestato a 52,6, sopra le attese, segnalando un’espansione diffusa e un’inflazione dei prezzi di vendita solo lievemente in aumento.
Un quadro che, di fatto, conferma la posizione attendista della BCE, pronta a mantenere i tassi invariati nel meeting del 30 ottobre a Firenze.
BCE e Fed: due strategie, un equilibrio fragile
La settimana che si apre sarà dominata dalle banche centrali: la Federal Reserve (28–29 ottobre) e la Banca Centrale Europea (30 ottobre).
Ma, come ormai accade da mesi, le due istituzioni si muovono su traiettorie divergenti. Negli Stati Uniti la Fed è pronta a tagliare ancora i tassi, con una probabilità prossima al 97% di portare i Fed Funds nel range 3,75%–4%, mentre a Francoforte Christine Lagarde dovrebbe limitarsi a confermare la pausa.
La divergenza, però, è meno apparente di quanto sembri.
La BCE si trova infatti in una posizione di “comfort apparente”: l’inflazione è prossima al target del 2%, la crescita resta debole ma non drammatica, e l’istituto appare determinato a guadagnare tempo fino a dicembre, quando nuovi dati su inflazione e PIL offriranno un quadro più completo.
Come osserva Carsten Brzeski, global head of macro di ING, “non c’è motivo di aspettarsi colpi di scena a ottobre; ma dicembre potrebbe aprire uno spiraglio per un nuovo taglio, se i rischi al ribasso – dazi USA, politica francese, ritardi nello stimolo tedesco – dovessero materializzarsi”.
Un’Europa sospesa tra politica e macroeconomia
La fotografia dei PMI suggerisce che l’economia europea non è in crisi, ma nemmeno pronta a un ciclo espansivo sostenuto.
La Germania, grazie a politiche fiscali più attive e al piano infrastrutturale, mostra i primi segnali di ripresa, mentre la Francia resta intrappolata in un contesto politico incerto e in una domanda interna debole.
Nel complesso, il continente si muove su un equilibrio precario: la ripresa è reale, ma fragile; la stabilità dei prezzi è rassicurante, ma ottenuta a costo di crescita minima.
Per questo, la BCE appare determinata a non compromettere la tregua monetaria.
Otto tagli consecutivi tra il 2024 e il 2025 hanno già allentato le condizioni finanziarie. Oggi il margine d’azione è ridotto: un nuovo taglio senza un deterioramento dei dati rischierebbe di apparire prematuro, mentre un rialzo è fuori discussione.
Cosa osservare nei prossimi mesi
La divergenza con la Fed potrebbe accentuarsi ancora, e non solo per differenze di ciclo economico.
Il rafforzamento del dollaro, l’impatto ritardato dei dazi americani e la minore spinta fiscale europea creano un contesto in cui l’Eurozona rischia di restare intrappolata in una “stabilità sterile”: crescita bassa, inflazione vicina al target, ma margini ridotti per nuovi stimoli.
In questo scenario, i mercati obbligazionari restano il principale barometro delle aspettative.
La tenuta dei rendimenti a lungo termine – e in particolare il comportamento dei titoli core tedeschi – sarà il primo segnale utile per capire se la tregua attuale può trasformarsi in una fase di consolidamento reale, o se si tratta solo di una pausa prima di un nuovo rallentamento.
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