Da giorni è allarme sui mercati per l’inversione della curva dei rendimenti USA e in molti si stanno interrogando sugli sviluppi futuri. Ma cosa vuol dire che la curva dei rendimenti è invertita? Perché si inverte la curva dei rendimenti? E perché desta così tanta preoccupazione tra gli operatori?
In questo articolo affrontiamo il tema, attualissimo e delicatissimo, della recente inversione della curva dei rendimenti statunitensi. Senza scendere troppo in dettagli o tecnicismi troppo complicati faremo chiarezza, in modo semplice, sui motivi e sulle possibili conseguenze derivanti da una curva dei rendimenti invertita.
I precedenti della curva dei rendimenti invertita
La paura di un’inversione della curva non è tema nuovo oltreoceano; già in passato, al meeting della FED di Dicembre 2017, due membri votarono contro un rialzo dei tassi proprio per timori legati a questa eventualità. Mentre nel 2007, in piena crisi dei mutui Subprime, la curva si invertì davvero.
Che cos’è che spaventa in una curva dei rendimenti invertita? Ma soprattutto, quali sono le dinamiche dietro la sua formazione? Procediamo con ordine.
Con curva dei rendimenti invertita s’intende una situazione di mercato in cui i rendimenti offerti per le scadenze più lunghe sono minori rispetto ai rendimenti della parte a breve della curva, dove solitamente si considera la parte a “breve” quella per i tassi fino a 2 anni e quella a lunga per i tassi a 10 anni. La curva assume un’inclinazione negativa, in netto contrasto con la normale inclinazione positiva che vuole che i rendimenti offerti debbano salire man mano che la durata dei bond si allunga.
E’ naturale quindi che si tratti di una situazione a prima vista contro-intuitiva, perché chi ha studiato finanza e ha un po’ di dimestichezza con la matematica finanziaria ricorderà il tormentone per cui 1 euro oggi è meglio di 1 euro domani. Ebbene, una curva invertita, invece, ci dice esattamente l’opposto: meglio 1 euro domani. Questo comporta che gli investitori, in media, si orientino verso investimenti di lungo periodo, nonostante i rendimenti inferiori agli investimenti di breve.
I timori legati all’inversione della curva dei rendimenti hanno origine dal fatto che le evidenze statistiche storiche sull’inversione della curva non sono molto confortanti, visto che quasi tutte le volte in cui questo è accaduto nell’ultimo mezzo secolo, l’economia americana è davvero caduta in recessione, mediamente dopo quasi un anno e mezzo. Quindi non sono pochi quelli che sostengono che una curva dei rendimenti invertita sia presagio di recessione, cosa ovviamente negativa per l’economia e di riflesso per la finanza.
Dove ha origine una curva dei rendimenti invertita
Nel corso del tempo sono stati molti i tentativi di spiegare perché ciò si verifichi, naturalmente con ipotesi e posizioni differenti. La cosa migliore, per provare a capire, è come sempre fare riferimento ai principi cardine della matematica finanziaria, con la quale possiamo spiegare perché l’inversione della curva avviene come conseguenza delle manovre delle Banche Centrali, o meglio in base alla tempistica di queste manovre.
Per capire questo meccanismo torniamo alla domanda cardine che origina l’apparente paradosso. Cosa spinge gli investitori ad accettare tempi più lunghi per il rientro del proprio capitale nonostante un minor rendimento?
Supponiamo di avere una disponibilità da investire e di avere un orizzonte temporale di investimento di 10 anni e per semplicità supponiamo di rivolgerci ad un investimento a tasso fisso. Abbiamo due possibilità: acquistare direttamente un bond decennale, accettando il rendimento a scadenza offerto dal mercato, oppure investire di anno in anno in un bond annuale, cioè attuando il cosiddetto rolling della posizione.
Poiché sappiamo che il rendimento a scadenza di un’obbligazione a tasso fisso è certo e implicito al momento dell’acquisto, la prima strategia d’investimento non presenta alcun elemento di aleatorietà. La seconda strategia d’investimento, invece, ha un risultato incognito dato dal fatto che i tassi futuri con scadenza un anno non sono noti al tempo in cui si inizia la strategia.
Perciò, la scelta fra le due sarà guidata dalle aspettative che nutriamo sulla futura evoluzione dei tassi da qui ad un anno. Se ci aspettiamo un rialzo futuro dei tassi ad un anno, è chiaro che preferiremo investire nella strategia di rolling, in modo da poter reinvestire a scadenza il nostro capitale in titoli con un rendimento maggiore. Al contrario, in caso di aspettative ribassiste, saremo razionalmente più propensi a vincolare il nostro capitale direttamente in un bond decennale.
D’altra parte, seppur in via speculare, è esattamente quello che accade nella scelta di un mutuo: se l’aspettativa è quella di tassi al ribasso è idealmente preferibile scegliere un mutuo a tasso variabile, mentre in caso di aspettativa di tassi al rialzo sarà certamente preferibile un mutuo a tasso fisso.
Quindi nell’esempio che stiamo analizzando il bond decennale ricopre il ruolo del mutuo a tasso fisso, visto che ci permette di bloccare il rendimento in maniera sicura, mentre la strategia di rolling è paragonabile al mutuo a tasso variabile.
Bene, aggiungiamo un altro elemento al ragionamento. Secondo il principio dell’equivalenza dei tassi le due strategie, quando applicate alla generalità degli investitori, dovrebbero tendere all’equilibrio, cioè dovrebbero equivalersi. Anche perché se così non fosse gli investitori sarebbero incentivati a spostare tutto il proprio capitale da una strategia all’altra.
In una situazione di equilibrio, che possiamo definire normale, abbiamo una curva inclinata positivamente, per cui affinché nel mercato si realizzi una curva invertita, bisogna che le aspettative degli operatori di mercato siano tali che il principio di equivalenza dei tassi venga meno trasformando temporaneamente un’eguaglianza in una diseguaglianza.
Se questo accade, ecco che la maggioranza degli investitori è spinta a investire nel bond a 10 anni piuttosto che nella strategia di rolling, poiché questa rischia di restituire un rendimento complessivo inferiore. La dinamica è semplice: una maggiore domanda verso il bond decennale porta ad un incremento del suo prezzo e conseguentemente ad una riduzione del suo rendimento e questa diminuzione è consistente, il risultato ottenuto è l’inversione della curva.
Relazione tra curva dei rendimenti invertita e manovre delle Banche Centrali
Capito il meccanismo, vediamo ora la condizione che determina il crearsi di tale disequilibrio, e di conseguenza l’inversione della curva. La condizione preliminare è l’affermarsi di un’aspettativa dominante ribassista sui tassi a breve nel prossimo futuro.
Ma quando si genera un’aspettativa dominante di tassi a breve in declino? La risposta è semplice: quando vi è l’aspettativa di una recessione economica. Come sappiamo, infatti, la prima reazione da parte delle banche centrali ad una recessione è, da sempre, il taglio dei tassi a breve termine. Ne consegue logicamente che un’aspettativa di recessione si traduce in un’aspettativa di tassi a breve minori nel futuro, originando la diseguaglianza che origina l’inversione della curva.
Ma cosa provoca allora la diffusione di questa seconda aspettativa di recessione economica? Semplicemente un oggettivo deterioramento del quadro economico, magari acuito da eventi geopolitici rilevanti e destabilizzanti, oltre all’erosione dei margini di profitto per le aziende a causa dell’aumento dei costi. Cioè, esattamente la situazione in cui versiamo in questo periodo.
Quindi, se la Banca Centrale alza i tassi di interesse con aspettative di recessione è chiaro che si crea una sorta di cortocircuito, poiché quando la recessione sarà confermata e la Banca Centrale dovrà tagliare i tassi per stimolare l’economia, i tassi a breve scenderanno.
Un apparente paradosso?
E come si spiega questo apparente paradosso? Si spiega nel fatto che la FED ha appena iniziato ad alzare i tassi, in grave ritardo secondo molti operatori, e quindi il mercato sta considerando sbagliata la manovra della Banca Centrale USA, evidenziando in modo netto che la FED è decisamente molto indietro rispetto alla curva, poiché indubbiamente ha temporeggiato eccessivamente prima di alzare i tassi e sarà verosimilmente costretta ad accelerare il passo nei prossimi mesi per non perdere il controllo della stabilità dei prezzi, soffocando ancora di più l’economia.
In sintesi, quindi, da un’azione della FED, ritenuta sbagliata dalla maggior parte degli operatori, può generarsi un’aspettativa di recessione futura, che si traduce a sua volta in un’aspettativa di tassi a breve futuri in ribasso. Tutto ciò finisce per incrementare la domanda rivolta ai bond di lungo termine con conseguente abbassamento dei rendimenti di lungo termine sotto quelli di breve, con l’inevitabile inversione della curva dei rendimenti.
Ed è proprio a causa di questo importante nesso logico che l’inversione della curva è sovente considerata in letteratura come predittiva di crisi economiche. Tornado alle evidenze statistiche citate ad inizio video, basta pensare che le ultime sette recessioni economiche sono state tutte precedute da un’inversione della curva.
1 commento
Pingback: Curva rendimenti USA invertita: recessione alle porte? – Rendimento Fondi: investire in fondi ed ETF con metodo