L’ultimo intervento di Christine Lagarde al Frankfurt European Banking Congress mette nero su bianco una diagnosi piuttosto netta: l’Europa dimostra tenuta strutturale, ma resta vulnerabile. Per spiegare la direzione che, secondo lei, dovrebbe prendere l’economia europea, la presidente della BCE ha parlato di modello di crescita da ripensare, di mercato interno bloccato e di necessità di più investimenti pubblici.

Il tutto condensato nella formula implicita “da economia che resiste a economia che cresce”, con un richiamo esplicito alla celebre frase attribuita a Galileo: “E pur si muove”.

Per noi investitori, il discorso di Lagarde non è solo una dichiarazione politica: è un’indicazione di medio periodo su come potrebbero evolvere la politica economica europea, il quadro dei tassi BCE e, di riflesso, i mercati obbligazionari e azionari dell’area euro.

In questo senso, leggere con attenzione le parole della presidente – e inquadrare il messaggio dentro un ragionamento più ampio – è parte integrante del lavoro di chi investe e investirà in Europa.

Il contesto: un modello europeo sotto pressione

Nel suo discorso a Francoforte, Lagarde ha ricordato che il modello di crescita europeo degli ultimi decenni è stato fortemente trainato dall’export e dall’impiego dei risparmi europei sui mercati finanziari statunitensi.

Questo rende l’Europa particolarmente esposta a tre tipi di shock:

  • quelli commerciali (dazi, tensioni tra grandi blocchi),
  • quelli geopolitici (guerre e crisi energetiche),
  • quelli legati alla competizione tecnologica con Stati Uniti e Cina.

Lagarde ha indicato, in particolare, l’aumento dei dazi statunitensi, l’invasione russa dell’Ucraina e la crescente competizione cinese come gli shock principali degli ultimi anni. Questi eventi hanno ridotto i margini di sicurezza di un’economia che, per lungo tempo, ha fatto affidamento su catene del valore globalizzate e su energia relativamente a basso costo.

Al tempo stesso, la Commissione europea continua a descrivere un quadro di “tenuta con crescita moderata”: l’area euro ha evitato scenari recessivi più gravi, ma non è riuscita a esprimere una crescita robusta e diffusa.

In questo contesto, la frase di Lagarde secondo cui “il mondo non rallenterà per l’Europa, ma possiamo decidere come andare avanti” va letta come un avvertimento: l’Europa non può più limitarsi a reagire agli shock esterni, deve iniziare a costruire le condizioni per una crescita interna più autonoma e meno dipendente dalle decisioni degli altri.

Il mercato interno che “non si muove”

Il primo pilastro della “ricetta” indicata da Lagarde riguarda il mercato interno. La presidente della BCE ha parlato esplicitamente di un “mercato interno rimasto immobile”, soprattutto nei settori che dovrebbero guidare la crescita futura: tecnologia digitale, intelligenza artificiale e mercati dei capitali.

In pratica, l’Europa dispone di un grande mercato potenziale, ma continua a frammentarlo in 27 sotto-mercati, ciascuno con regole, barriere amministrative e prassi fiscali che frenano la circolazione di servizi, capitali e innovazione. Per un investitore questo si traduce in più complessità nel costruire strategie davvero “europee” e in una minore profondità complessiva dei mercati rispetto a quella che l’area euro potrebbe teoricamente esprimere.

Lagarde richiama anche il tema dei cosiddetti “dazi interni”: non dazi in senso classico, ma ostacoli regolamentari che, di fatto, rendono più costoso vendere servizi o raccogliere capitali oltre i confini nazionali. Analisi della stessa BCE indicano che queste barriere equivalgono, in alcuni segmenti, a vere e proprie tariffe implicite che riducono l’efficienza del mercato unico.

Se la politica europea decidesse davvero di intervenire su questi punti – per esempio accelerando l’Unione dei mercati dei capitali – nel medio periodo potremmo assistere a un rafforzamento dei listini azionari europei più direttamente legati ai servizi finanziari, alle infrastrutture e alla tecnologia. Per ora, però, siamo ancora nella fase delle dichiarazioni d’intenti.

Governance e voto a maggioranza: il nodo delle decisioni

Il secondo asse del discorso di Lagarde riguarda la governance europea. La presidente ha ripreso un tema già toccato nel suo primo discorso da numero uno della BCE nel 2019: la necessità di superare il vincolo dell’unanimità nelle decisioni che incidono sul completamento del mercato unico.

Secondo Lagarde, mantenere il requisito dell’unanimità in aree fondamentali – ad esempio armonizzazione dell’IVA, tassazione delle imprese, regole per i mercati dei capitali e segmenti avanzati dell’economia digitale – significa accettare che un singolo Paese possa bloccare riforme rilevanti per l’intera area euro. La proposta è di estendere il voto a maggioranza qualificata alle “aree da cui dipende la crescita futura”.

Per noi investitori, questo passaggio ha due implicazioni. La prima è di tipo politico-istituzionale: se si aprisse davvero la strada a una maggiore integrazione decisionale, il rischio di “paralisi” europea in momenti di crisi potrebbe ridursi, con un beneficio indiretto anche per la percezione di rischio sui titoli di Stato dell’area euro.

La seconda è di tipo operativo: riforme approvate più rapidamente potrebbero accelerare l’adozione di norme comuni su mercati dei capitali, fintech, transizione energetica. In altre parole, una governance basata su decisioni più rapide potrebbe risultare, nel medio periodo, più favorevole agli investimenti rispetto a un’Europa bloccata dai veti incrociati.

Naturalmente, si tratta di un percorso politico complesso. Il passaggio al voto a maggioranza qualificata richiede consenso tra i governi e, in alcuni casi, modifiche ai trattati. Ma il fatto che la presidente della BCE torni a insistere sul tema indica che il mondo delle istituzioni monetarie considera la lentezza decisionale uno dei principali rischi strutturali per l’economia europea.

Investimenti pubblici e risposta agli shock esterni

Il terzo elemento della ricetta di Lagarde riguarda gli investimenti pubblici. Nella sua analisi, la presidente sottolinea che, da qui al 2027, un aumento degli investimenti pubblici potrebbe compensare circa un terzo dello shock commerciale legato ai dazi statunitensi.

L’idea è chiara: se l’Europa non può contare su un contesto esterno favorevole come in passato, deve costruire internamente una base di domanda e produttività che riduca la dipendenza da export eccessivo verso pochi mercati.

Investimenti in infrastrutture, transizione energetica, digitale e difesa comune vanno in questa direzione. Qui la connessione con i mercati finanziari è diretta.

Maggiori investimenti pubblici significano, da un lato, più emissioni di debito sovrano e potenzialmente di strumenti legati a progetti specifici (green bond, social bond, emissioni BEI, ecc.); dall’altro, una domanda più stabile per settori come costruzioni, utilities, energia rinnovabile, tecnologia applicata a infrastrutture e sicurezza.

Per l’Italia, paese con elevato debito pubblico ma anche con un’ampia base industriale e infrastrutturale, il modo in cui verranno impostati questi investimenti europei sarà cruciale. Se prevarrà un approccio coordinato, con strumenti comuni (ad esempio sul modello di Next Generation EU), l’impatto sulla percezione di rischio dei BTP potrebbe essere diverso rispetto a uno scenario in cui ogni stato procede per conto proprio, aumentando il proprio debito senza un quadro condiviso.

Politica monetaria: cosa sta dicendo davvero la BCE

Il discorso di Francoforte si inserisce in una fase in cui la BCE ha già iniziato a ridurre i tassi rispetto ai picchi della fase di contrasto all’inflazione e insiste sul concetto di “buona posizione” per affrontare eventuali shock futuri. In vari interventi recenti, Lagarde ha ribadito che l’istituto di Francoforte manterrà un approccio “dipendente dai dati” e valuterà riunione per riunione l’evoluzione di inflazione e crescita.

Dal punto di vista di noi investitori, ciò significa ricordarsi che l’obiettivo ufficiale di inflazione al 2% rimane il riferimento e, nelle parole della stessa Lagarde, l’Eurozona è considerata “in buona posizione” per rispondere a shock geoeconomici, grazie a un mix di tassi più bassi rispetto ai massimi e a un quadro macro che, pur debole, non è in recessione generalizzata.

In pratica, la “ricetta” della BCE oggi vede tassi non più restrittivi come un anno fa, ma ancora sufficientemente equilibrati da mantenere un rendimento ragionevole su molte obbligazioni investment grade dell’area euro.

Implicazioni operative per noi investitori

Tradurre questo quadro in scelte operative non significa seguire alla lettera le parole della presidente, ma integrare il messaggio nel proprio processo di analisi. Alcune implicazioni possibili, in termini generali, sono le seguenti.

Per il comparto obbligazionario, uno scenario in cui la BCE resta prudente senza tagli o rialzi improvvisi dei tassi, i rendimenti dei titoli di Stato dell’area euro potrebbero stabilizzarsi. In pratica, per noi risparmiatori questo significa che le obbligazioni governative con scadenze di medio periodo (circa 3–7 anni) possono continuare a offrire interessi ragionevoli, senza dover assumere i rischi maggiori tipici delle scadenze molto lunghe.

Se l’Europa riuscisse davvero a rafforzare il mercato interno e a dare credibilità a un percorso di investimenti pubblici mirati, la percezione di rischio di alcuni emittenti periferici potrebbe migliorare nel medio periodo.

Per noi investitori italiani, infine, il discorso di Lagarde è un promemoria: gran parte del nostro patrimonio finanziario è esposto, direttamente o indirettamente, alle scelte fatte a Bruxelles e Francoforte. Ignorare il dibattito su mercato interno, governance europea e investimenti pubblici significa sottovalutare fattori che impattano spread BTP-Bund, costo del debito, profittabilità delle banche e valutazioni di molte società quotate sul mercato domestico.

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Dr. Massimo Gotta, giornalista-pubblicista iscritto all'Ordine dei Giornalisti di Torino. Laureato in Scienze Politiche e in Giurisprudenza è uno dei più apprezzati analisti finanziari italiani, tra i fondatori del Circolo degli Investitori e ha alle spalle una lunga carriera professionale nel mondo bancario e finanziario. Ha lavorato per il gruppo bancario Mediobanca e per Banca Sella come responsabile Ufficio Titoli e Borsino ed in seguito Gestore di patrimoni presso la struttura Private Banking. È stato docente per l’Università degli Studi di Torino e la Scuola di Amministrazione Aziendale di Torino. Massimo Gotta è un apprezzato opinionista per diversi media finanziari tra cui Repubblica.it, LombardReport.com, Il Valore, Class CNBC. È coautore con Walter Demaria di “Investire in obbligazioni” (TradingLibrary 2013) e autore di diversi altri libri tra cui “Il meglio dell’analisi tecnica in Metastock” (Experta 2006). Disclaimer: L’autore Massimo Gotta non detiene strumenti finanziari oggetto delle proprie analisi al momento della pubblicazione. Il nostro giornale rispetta la Carta dei Doveri dell’Informazione Economica Clicca qui--> Informazioni metodo Clicca qui-->

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