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Nei giorni scorsi i rendimenti dei titoli di Stato giapponesi a lunghissima scadenza hanno toccato livelli che non si vedevano da quasi vent’anni. Il JGB a 40 anni viaggia attorno al 3,5%, un massimo assoluto dal 2007, mentre il trentennale oscilla poco sotto il 3,3%. Titoli e commentatori hanno subito evocato scenari di crisi globale: nei ricordi collettivi, un rialzo dei tassi a lungo termine precede spesso shock di mercato, con richiami al 1987 e al rischio di una nuova ondata di sell-off su scala mondiale.

Rendimento dei titoli di stato giapponesi a 40 anni. Fonte grafica e dati Tradingview.com

La realtà, tuttavia, è più complessa e meno catastrofica. L’aumento dei rendimenti giapponesi non è soltanto il segnale di un mercato in sofferenza, ma anche l’effetto della normalizzazione monetaria della Bank of Japan e delle preoccupazioni fiscali legate all’enorme debito pubblico. È un movimento che accompagna il ritorno della crescita nominale e, paradossalmente, apre la strada a un contesto più favorevole per gli asset rischiosi. In altre parole, se il rialzo della curva riflette una maggiore fiducia sulla tenuta dell’economia, il mercato azionario può beneficiarne. Lo confermano i flussi record verso il listino giapponese, sostenuti dalle riforme di governance e dal boom degli utili societari.

Indice NIKKEI su scala weekly a settembre 2025. Fonte grafica e dati Tradingview.com

All’estremo opposto, la Cina vive una situazione di rendimenti persistentemente bassi. Il decennale cinese oscilla da mesi fra l’1,6 e l’1,8%, un livello che fotografa la debolezza strutturale della domanda interna e il rischio deflazionistico. Ma anche qui il segnale non è univocamente negativo: una curva così compressa permette alla banca centrale di continuare a stimolare l’economia senza destabilizzare il mercato obbligazionario. Nel breve periodo, questo riduce la pressione sui mercati globali dei capitali e contribuisce a mantenere condizioni finanziarie accomodanti, a beneficio soprattutto delle Borse asiatiche ex-Cina.

Rendimento titoli di stato a10 anni Cina a settembre 2025. Fonte grafica e dati Tradingview.com

In sintesi, Giappone e Cina offrono due immagini opposte dello stesso scenario: tassi in salita a Tokyo, tassi inchiodati a Pechino. Entrambi, letti con attenzione, puntano verso una direzione comune: la possibilità di un sostegno agli asset rischiosi. Il Giappone segnala la fine dell’era dei tassi negativi e il ritorno di un ciclo reflazionistico, la Cina mette un “pavimento” ai rendimenti globali mantenendo bassi i costi di finanziamento.

Indice CSI 300 su scala weekly. Fonte grafica e dati Tradingview.com

Resta il fatto che il confine tra segnale positivo e campanello d’allarme è sottile. Aste poco partecipate sui titoli super-long giapponesi o un ulteriore deterioramento del mercato immobiliare cinese potrebbero ribaltare la narrativa. Ma allo stato attuale, i mercati obbligazionari asiatici non stanno lanciando un allarme di crisi imminente: al contrario, stanno suggerendo che il ciclo per gli asset più rischiosi ha ancora spazio per correre.

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Dr. Walter Demaria Laurea in Psicoeconomia, è un giornalista - pubblicista iscritto all'Ordine dei Giornalisti di Torino. E’ tra i fondatori del Circolo degli Investitori ed è editorialista di diversi quotidiani finanziari. Insieme a Massimo Gotta ha pubblicato “Investire in obbligazioni”, che è ad oggi un best seller tra i testi che si occupano in maniera operativa dell’investimento in obbligazioni. Ha un approccio ai mercati di tipo quantitativo e ha guidato il team di sviluppo che ha creato il Trendycator. Disclaimer: L’autore Walter Demaria non detiene strumenti finanziari oggetto delle proprie analisi al momento della pubblicazione. Il nostro giornale rispetta la Carta dei Doveri dell’Informazione Economica Clicca qui--> Informazioni metodo Clicca qui-->

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