Dopo le rinnovate minacce di Trump in merito ai dazi verso la Cina, stanno girando tra le sale operative rumors in merito ad una teoria che vale la pena analizzare e considerare come una delle tante possibilità di quanto potranno riservarci i mercati nei prossimi mesi. Sia chiaro, parliamo di rumors cioè di indiscrezioni – talvolta anche illazioni – che non hanno al momento nessun riscontro oggettivo, ma le basi su cui si fonda questa teoria non sono proprio campate per aria e quindi ne ragioniamo insieme in questo articolo.
Argomento che abbiamo trattato anche sul nostro magazine mensile, e che qui riproponiamo con l’aggiunta di alcune evidenze forniteci dalle ultime news in merito alle nuove esternazioni di Trump in tema di tassi d’interesse e quindi di politica monetaria della FED. Ma andiamo con ordine e mettiamo i vari tasselli in fila.
Intanto vediamo i numeri in campo, per capire l’eventuale portata di questa recrudescenza di guerra commerciale USA-Cina. Largo circa si parla di potenziali dazi su oltre 500 Mld USD di beni cinesi, di cui ben oltre 300 Mld USD si riferiscono a prodotti cinesi che sino ad ora erano esenti da imposte e che invece sarebbero colpiti da una stangata del 25%. Del tutto normale quindi la reazione dei mercati di inizio mese, con botte per il petrolio e per tutti gli asset di rischio, poiché è evidente che una guerra commerciale sarebbe ulteriormente depressiva per un’economia che già è in rallentamento come sappiamo dai dati macro usciti nelle settimane scorse a cui hanno fatto seguito i netti cambi di rotta di FED e BCE.
Numeri importanti, indubbiamente. Nel magazine mensile – redatto prima che si concludesse il vertice fra Trump e Liu He che sappiamo è di fatto fallito – scrivevamo: “Se le minacce di Trump dovessero tradursi in pratica le Borse prenderebbero ovviamente una bella batosta e l’economia subirebbe un’ulteriore frenata. E se questo fosse proprio ciò di cui ha bisogno il Presidente USA?” La domanda non era peregrina – sotto certi aspetti – ed era di fatto la teoria che a livello di rumor stava girando da qualche giorno. Di fatto, l’assunto di partenza è che sia agli USA sia alla Cina serva un QE perenne e strutturale e che quindi il siparietto sia studiato ad arte.
Ora, il negoziato è fallito e Trump sta provando in queste ore ad affondare il colosso cinese Huawei che, oltre ad essere il secondo produttore al mondo di smartphone, è anche il più grande produttore mondiale di apparecchiature per telecomunicazioni. In base ad alcune analisi oggi deterrebbe circa il 28% del mercato, ma soprattutto Huawei ha stipulato più di tutte le altre aziende contratti 5G.
Ma a prescindere dagli ovvi interessi in un settore e una tecnologia strategica, quali leve pensa di muovere Trump agendo in questo modo? In base alla teoria citata, costringere la FED ad attuare una politica monetaria espansiva. Infatti, non andrebbe dimenticato che mesi fa è stato durissimo lo scontro tra la Casa Bianca e la FED, con un Trump che è entrato di prepotenza a gamba tesa sull’operato della Banca Centrale, ingerendosi pesantemente nelle scelte che di lì a poco sarebbero state prese da Powell.
Ed è su queste considerazioni che si basa la teoria che vede il far crollare le Borse come mezzo per fermare la FED. Di fatto, secondo questi rumors, Donald Trump non poteva fare altro che fermare la corsa degli indici mandando un segnale di quelli che capiscono anche i sordi vista l’attitudine della FED nel fare orecchie da mercante in merito al taglio dei tassi invocato da Trump nel giorno della lettura del PIL del primo trimestre.
E ora anche alcuni dati danno evidenza che potrebbe davvero essere funzionale agli USA una profonda correzione degli indici americani, poiché come sappiamo sia le vendite al dettaglio sia la produzione industriale sono in calo nel mese di aprile, rispettivamente diminuite dello 0,2%, e dello 0,5%. E non è quindi un caso che Trump sia tornato ad invocare il taglio dei tassi, sostenendo che se la FED lo farà, “non ce ne sarà per nessuno” e che “vinceremo facilmente la guerra commerciale”. Ed è quindi chiaro che non è più per nulla un mistero il fatto che il taglio dei tassi sia da tempo il principale obiettivo del Presidente USA.
Cosa farà la FED ovviamente lo sanno solo gli angeli per ora, ma ad ogni buon conto il mercato pare proprio voglia credere al taglio dei tassi. Infatti i rendimenti dei governativi USA sono in costante contrazione dalla fine del 2018 e ora gravitano intorno ai minimi da un anno e mezzo a questa parte. Il decennale è scivolato sotto area 2,40% mentre il biennale è andato al 2,16%.
Rimane poi il nodo della curva USA dei tassi invertita – che sappiamo potrebbe preludere a cose poco simpatiche – ma per contro la stessa curva si sta allargando nel tratto 2/10 anni, evento che generalmente dovrebbe avere connotazioni positive. Tutti questi fattori stanno incidendo sull’andamento dei mercati che pare abbiano perso smalto ed euforia nel volgere di una notte.