Mentre lo spread tra BTP e Bund è sceso sotto i 75 punti base, regalando un beneficio stimato di oltre 1,5 miliardi ai conti pubblici italiani solo nel mese di ottobre, la Bulgaria si prepara a entrare ufficialmente nell’euro dal 1° gennaio 2026. Due notizie che sembrano distanti, ma raccontano in realtà la stessa storia: quella di un’Europa che continua a misurare la propria tenuta non solo sui tassi e sui rendimenti, ma sulla fiducia.

Il peso (leggero) dello spread Btp Bund

Dopo anni di allarme rosso, vedere uno spread così basso fa un certo effetto. Significa che il mercato oggi pretende meno di tre quarti di punto percentuale in più per comprare debito italiano rispetto a quello tedesco. Un segnale che premia la stabilità percepita del nostro Paese e il suo minore rischio di credito.

Secondo i dati del Rendistato della Banca d’Italia, a ottobre il rendimento medio dei titoli di Stato è sceso al 2,96% dal 3,05% di settembre. Una variazione apparentemente modesta, ma che, applicata a un debito complessivo di oltre 2.590 miliardi, vale in prospettiva circa 2,36 miliardi in meno di spesa per interessi.

Di questi, circa due terzi sono riconducibili al restringimento dello spread: 1,45 miliardi di euro di “risparmio prospettico”, come lo definisce la Banca d’Italia. Non è un dato strutturale — e andrà confermato nei prossimi mesi — ma rappresenta una boccata d’ossigeno per la legge di Bilancio 2026, la prima che il governo può scrivere senza l’assillo di un differenziale fuori controllo.

Quando la fiducia vale più dei numeri

Il miglioramento del sentiment sull’Italia non nasce dal nulla. Negli ultimi anni lo Stato italiano ha evitato mosse azzardate, ha difeso la tenuta dei conti e, paradossalmente, beneficia anche dell’instabilità altrui.

La Germania, ad esempio, sta pagando sul proprio debito il costo delle scelte legate al riarmo e agli investimenti industriali post-crisi. Il risultato è che il nostro Paese oggi non è più “il malato d’Europa”, ma uno dei pochi a trasmettere stabilità in un continente attraversato da tensioni geopolitiche e incertezza fiscale.

È una situazione quasi inedita, che evidenzia quanto la fiducia — più ancora del rapporto debito/PIL — sia il vero fattore determinante nel costo del denaro. E la fiducia, nel sistema europeo, si conquista anche dimostrando di saper convivere con regole comuni.

Bulgaria, tra paura e conquista

È lo stesso tema che, a modo suo, riguarda la Bulgaria. Tra meno di due mesi il Paese adotterà ufficialmente l’euro, dopo anni di preparazione e di ancoraggio valutario con il marco prima e con l’euro poi.

Christine Lagarde, intervenuta a Sofia alla conferenza “Bulgaria alle porte dell’Eurozona”, ha definito l’ingresso “un guadagno di sovranità, non una perdita”. Un concetto tutt’altro che scontato in un momento storico in cui il dibattito sull’autonomia monetaria torna periodicamente a riemergere.

Secondo i sondaggi citati dalla stessa Lagarde, metà dei bulgari resta contraria all’adozione della moneta unica, temendo un aumento dei prezzi e la perdita di controllo sulle decisioni economiche.

Paure legittime, nonostante un dato di fatto spesso ignorato: la Bulgaria, da decenni, non aveva una politica monetaria autonoma. Con un comitato valutario rigidamente ancorato all’euro, importava già le decisioni della BCE senza poterle influenzare. Con l’ingresso, per la prima volta, il governatore bulgaro siederà nel Consiglio direttivo della Banca Centrale Europea con pieni diritti di voto.

Un passaggio storico che non cancella le contraddizioni di fondo: l’ingresso nell’euro offre indubbi benefici di stabilità, ma anche vincoli che limitano la piena autonomia economica. È il compromesso implicito dell’Unione monetaria: condividere la moneta senza condividere del tutto le politiche che la sostengono, in un equilibrio che finora ha premiato più le economie forti che quelle fragili.

L’Europa delle asimmetrie

Il caso bulgaro ricorda che l’euro non è solo un progetto tecnico, ma una scelta di campo con implicazioni economiche profonde. Ogni Paese arriva da un punto di partenza diverso: per chi entra oggi, significa stabilità e riconoscimento internazionale; per chi, come l’Italia, è dentro da venticinque anni, significa mantenere credibilità e margini di manovra in un sistema che tende a premiare chi cresce di più e a penalizzare chi resta indietro.

È qui che le due storie si incontrano: la riduzione dello spread e l’allargamento dell’eurozona raccontano lo stesso fenomeno, cioè un’Europa che continua a muoversi a velocità diverse, dove la fiducia dei mercati diventa l’unico vero metro di giudizio.

La Bulgaria la sta cercando, l’Italia deve difenderla. Entrambe si muovono dentro un equilibrio fragile, in cui contano meno i proclami politici e più la capacità di produrre risultati reali.

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Dr. Massimo Gotta, giornalista-pubblicista iscritto all'Ordine dei Giornalisti di Torino. Laureato in Scienze Politiche e in Giurisprudenza è uno dei più apprezzati analisti finanziari italiani, tra i fondatori del Circolo degli Investitori e ha alle spalle una lunga carriera professionale nel mondo bancario e finanziario. Ha lavorato per il gruppo bancario Mediobanca e per Banca Sella come responsabile Ufficio Titoli e Borsino ed in seguito Gestore di patrimoni presso la struttura Private Banking. È stato docente per l’Università degli Studi di Torino e la Scuola di Amministrazione Aziendale di Torino. Massimo Gotta è un apprezzato opinionista per diversi media finanziari tra cui Repubblica.it, LombardReport.com, Il Valore, Class CNBC. È coautore con Walter Demaria di “Investire in obbligazioni” (TradingLibrary 2013) e autore di diversi altri libri tra cui “Il meglio dell’analisi tecnica in Metastock” (Experta 2006). Disclaimer: L’autore Massimo Gotta non detiene strumenti finanziari oggetto delle proprie analisi al momento della pubblicazione. Il nostro giornale rispetta la Carta dei Doveri dell’Informazione Economica Clicca qui--> Informazioni metodo Clicca qui-->

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