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Temporanea o meno che sia, il tuo portafoglio è coperto contro la svalutazione del denaro?

In questo articolo vediamo quali settori e quali asset class potrebbero fornire un’adeguata protezione contro l’inflazione.

Perché i dati sull’inflazione hanno fatto scalpore?

L’inflazione USA per il mese di aprile ha segnato +4.2% su base annua, il dato più alto dal 2008, mentre gli analisti si attendevano “solo” un +3,6%. L’inflazione core, depurata dai più volatili energetici e alimentari, ha registrato un +3% contro il +2,3% atteso.  

Facciamo una premessa. Un’inflazione stabile, intorno al 2% come target perseguito da BCE e della FED, è positiva per l’economia perché sinonimo di crescita globale, sano incontro di domanda e offerta di mercato, investimenti sostenibili, riduzione reale del debito pubblico e bassa disoccupazione.

Quello che spaventa i mercati, come accaduto il 12 maggio (giorno del report sul CPI USA), è l’eccessiva inflazione che avvantaggia i debitori rispetto ai creditori.

Perché l’eccessiva inflazione è il peggior nemico dell’investitore?

Un saggio lettore non dovrebbe guardare al rendimento nominale del suo portafoglio ma al potere di acquisto di quel rendimento. E ormai è risaputo, l’inflazione eccessiva lo erode e non produce una crescita sana dell’economia.

  • Per quanto riguarda il mercato obbligazionario, la combinazione fra tassi di interesse negativi o prossimi allo zero e un’inflazione che ci si attende in forte ripresa nei prossimi anni fanno pensare a tutto tranne che ad un investimento nel reddito fisso a causa di rendimenti reali attesi negativi. Lo si osserva dalla regola di Fisher:

Rendimento reale = Rendimento nominale – Tasso di inflazione atteso

Va da sé che i titoli di Stato, fino a quando le banche centrali non alleggeriranno i Quantitative Easing, è meglio tenerli nel cassetto.

Una piccola quota del portafoglio potrebbe essere comunque detenuta in TIPS o in High Yield Corporate Bond; in quest’ultimo caso, meglio però attendere il dirimersi della questione pandemica perché, sebbene offrano mediamente un rendimento effettivo del 4,3%, sono pur sempre “junk” bond.

  • Il mercato azionario ha risentito fortemente dei dati pubblicati sull’inflazione con i principali listini USA che hanno subito forti ribassi per i timori di un alleggerimento della politica ultra-espansiva che ormai va avanti da un decennio.

Infatti, se la FED riuscisse finalmente ad ottenere il target di inflazione sperato sarebbe costretta a ridurre gli stimoli monetari e questo porterebbe a rialzi dei tassi di interesse. Di conseguenza, aumenterebbero i costi di investimento e si ridurrebbero le stime sui flussi di cassa futuri delle società quotate.

Inoltre, eccessiva inflazione si rifletterebbe anche in aumenti dei salari rinegoziati, comprimendo ulteriormente gli utili attesi.

La regola d’ORO è diventata d’ARGENTO?

Nell’immaginario comune l’oro è da sempre il bene rifugio per eccellenza. Infatti, analizzando lunghi orizzonti temporali il metallo giallo ha performato bene con i tassi di inflazione elevati. Tuttavia, considerando gli ultimi venti anni, la correlazione resta positiva (0,215) ma molto lontana dal valore 1 che ci si attenderebbe per un bene rifugio eccellente.

Inoltre, da gennaio 2021 l’oro ha subito un crollo di circa il 5,4% mentre l’inflazione ha continuato a galoppare.

La spiegazione potrebbe risiedere nel fatto che l’oro ha valore nel momento in cui il mercato crede ne abbia, siccome il metallo giallo non produce reddito fisso e ha scarso utilizzo relativo nella produzione industriale.

Di conseguenza, quando altre asset class iniziano a minacciare il suo status symbol come bene rifugio, vedasi il caso bitcoin, le performance dell’oro ne risentono. Infatti, sebbene il pericolo concorrenza delle criptovalute sia rientrato, il settore commodities si sta candidando come nuovo hedging dall’inflazione.

Per un approfondimento sull’argento, e di come nei prossimi anni possa sostituire l’oro come bene rifugio, ti consiglio di guardare il video dedicato di RendimentoFondi: https://m.youtube.com/watch?v=AX69znOqcbo

Tuttavia, storicamente, essendo l’oro un porto sicuro anche contro la volatilità e l’incertezza, il suggerimento è quello di mantenerlo in portafoglio.

Di fatto, molti istituzionali continuano ad accumularne anche a seguito dei ribilanciamenti, dovuti a vendite take profit, delle loro esposizioni di lungo periodo sulle materie prime. 

Cosa metto nel carrello? COMMODITIES!

Il comparto delle materie prime con applicazioni alla produzione industriale, sia che si guardi ai metalli che alle energetiche, è quello che ha beneficiato di più dall’aumento dei prezzi nell’ultimo anno e dalle aspettative di crescita del PIL globale. In aggiunta, è in cima alla lista della spesa dei colossi dell’investimento.

Se poi, come nel contesto attuale, siano proprio le materie prime a generare la cosiddetta inflazione “importata” si confermerebbe maggiormente il loro ruolo di bene rifugio. Infatti, mentre la domanda globale continua a salire rapidamente, grazie al rallentamento della pandemia e agli stimoli monetari, il lato dell’offerta e dell’estrazione delle commodities richiede tempi più lunghi per soddisfarla. 

Risultato? Prezzi in crescita, come ci testimoniano alcune performance YTD:

YTD Commodities
YDT Commodities
AZIONI: è tornato il cherry picking? 

Nonostante gli spaventi di metà maggio, il peggio sembra rientrato. O perlomeno, il mercato sembra credere alla temporaneità dell’eccessiva inflazione.

Il settore azionario si è ripreso, complessivamente, in tempi rapidi e per circa il 90% delle società quotate USA i bilanci trimestrali hanno sovraperformato le aspettative.

Alla luce delle considerazioni presentate in questo articolo e consapevoli che il futuro del mercato azionario dipenderà molto dalla politica monetaria della FED e dalla temporaneità o meno dell’eccessiva inflazione, a quali categorie azionarie rivolgersi?

  • GROWTH STOCKS vs VALUE STOCKS: su questo confronto gli analisti sono profondamente in disaccordo. Tuttavia, un segnale lo lascia il mercato: le value hanno iniziato a sovraperformare le growth e questo non succedeva da un decennio.
Value stocks vs Growth stocks
Value stocks vs Growth stocks

Le azioni value includono titoli ciclici, con rendimenti contenuti e in crescita costante: storicamente hanno offerto ritorni maggiori in periodi di ripresa da una recessione.

Le growth sono aziende con alti tassi di crescita degli utili attesi (P/E elevati) ma hanno leggermente perso appeal, vuoi perché rappresentate maggiormente dai “drogati” titoli tecnologici vuoi perché società a grande leva finanziaria e che risentirebbero negativamente di un rialzo dei tassi.

In ogni caso, in periodi di alti tassi di inflazione, soprattutto se stimolati dal settore commodities, sono da preferire quelle aziende con grande quota di mercato, possibilmente non eccessivamente indebitate, poiché maggiormente in grado di incrementare i prezzi di vendita senza che ne seguano bruschi crolli della domanda.

In tal modo, queste società generano margini e utili sostanzialmente stabili nonostante l’aumento dei costi di produzione da inflazione importata.

  • A caccia delle DIVIDEND (ARISTOCRAT) STOCKS: le società che da anni sono riuscite a staccare dividendi importanti e in crescita, anche nel periodo pandemico, hanno battuto la concorrenza durante le fasi di crisi. Inoltre, i dividendi sono un ottimo rifugio contro la svalutazione del potere d’acquisto perché forniscono ritorni aggiuntivi rispetto ai rendimenti da capitale, compensando il calo di ritorno reale dell’investimento causato dall’inflazione.
ROTAZIONE SETTORIALE alle porte?

Il ritracciamento del Nasdaq (-3,81% da fine aprile) e le opinioni di molti gestori di hedge fund sembrano gridare ad una possibile futura bolla dot-com come nel 2001. La prudenza suggerisce di liberare una quota del portafoglio dai titoli tecnologici per alcuni motivi: sono profondamente sopravvalutati, lontani dai fondamentali e risentirebbero molto delle possibili riduzioni delle iniezioni di liquidità.

L’attenzione sembra rivolgersi verso i settori ciclici e, dato l’attuale contesto, con buone prospettive di crescita future: il real estate, i turistici, i consumi diretti e l’automotive (offerta di semiconduttori e microchip permettendo).

Al netto delle sanitarie che si affidano ai vaccini come quota principale degli utili, a seguito dello stop ai brevetti, interessante anche l’health care dopo che la pandemia vi ha puntato i riflettori. Infine, se i tassi dovessero risalire e la stagione M&A prendere una svolta decisiva (soprattutto in Italia), meriterebbe considerazione anche il settore bancario e finanziario.

 

RendimentoFondi

 

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L'articolo che hai appena letto è stato scritto da Marco Buonafede. Esperto di economia e finanza, ha collaborato con numerose testate giornalistiche prima di approdare a RendimentoFondi. Laureato in economia all'Università di Torino e laureato in Finanza con Lode alla Luiss Guido Carli di Roma. Dal 2022 è iscritto all'albo dei Consulenti Finanziari Indipendenti con matricola n.629663.

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