I semiconduttori sono una parte fondamentale del mondo moderno. Sono usati in tutto, dagli smartphone agli aerei, e senza di loro molta della tecnologia che rende possibile la vita quotidiana nel 2021 semplicemente non potrebbe esistere. Ogni volta che saliamo su un’auto o mandiamo un’e-mail stiamo usando dei semiconduttori. Quindi, considerando la possibilità di una diminuzione nella fornitura di questi preziosi chip, potremmo incorrere in grandi difficoltà. Nelle ultime settimane è diventato sempre più chiaro agli analisti del settore di essere proprio di fronte a un problema di questo tipo: c’è una carenza globale di semiconduttori.
Che cos’è la crisi dei semiconduttori
A marzo 2020, quando la pandemia da Covid-19 ha imposto lockdown nazionali in tutto il mondo, gli ordini di chip sono crollati. Eppure, forse inaspettatamente, nelle settimane successive il lavoro e lo studio a distanza hanno stimolato la domanda di computer, mentre l’acquisto di automobili è aumentato poiché le persone evitano i trasporti pubblici. Questo ha portato a un aumento improvviso e vertiginoso della domanda di semiconduttori, alla quale i produttori non erano preparati, tanto da non poter assicurare il continuo approvvigionamento di chip.
Non è chiaro a cosa sia precisamente dovuta la carenza globale di semiconduttori. Alcuni danno la colpa del problema alla cattiva pianificazione, alle complessità della catena di approvvigionamento e all’usanza diffusa di tenere basse le scorte di chip nelle industrie chiave a causa delle spese. Tuttavia, altri sostengono che la carenza di chip è più una diretta conseguenza della crescente domanda mondiale dovuta agli sviluppi di nuove tecnologie come il 5G, l’esplosione dei videogiochi online e la diffusione dello streaming video in tempi di pandemia. C’è poi la crescente produzione di veicoli elettrici, e di componenti elettronici nelle automobili tradizionali. Forse, si tratta più semplicemente di una combinazione di tutti questi fattori. In ogni caso, in tutto il mondo ci sono solamente una manciata di fornitori, tutti provenienti dall’Asia (Taiwan Semiconductor Manufacturing, la più grande al mondo, e Samsung sono i principali): da soli non riescono a fare fronte all’improvviso aumento di domanda.
A peggiorare la situazione c’è l’impossibilità di produrre semiconduttori nell’immediato a causa dei costi proibitivi. In un interessante articolo del 21 febbraio, Bloomberg sostiene infatti che nessuna azienda sia disposta a produrre i chip di cui l’industria ha bisogno: infatti, si stima che siano necessari circa 4 miliardi di dollari solamente per allestire l’impianto di produzione per i semiconduttori. Inoltre, i costi unitari iniziali sono molto alti a causa dei test di prodotto: nelle prime fasi di sviluppo, solamente la metà dei chip funziona, con il rendimento che sale al 90% solamente dopo due o tre anni. Produrre semiconduttori con profitto è dunque un processo che richiede anni e ingenti risorse; l’industria ha invece bisogno di questi componenti nell’immediato. I possibili nuovi entranti nel settore, dunque, non hanno alcun incentivo ad avviare la produzione di chip.
La tempesta perfetta
Magari non è di immediata realizzazione, ma l’idea che l’approvvigionamento di semiconduttori possa essere un problema serio nei prossimi mesi è strettamente collegato al mondo finanziario: un calo di chip porta a una riduzione nello sviluppo e nel commercio di prodotti tecnologici, e per questo l’andamento in Borsa delle aziende del settore potrebbe risentirne. In questo senso, il Nasdaq sarebbe l’indice più a rischio. È infatti noto l’importanza delle aziende del settore tecnologico e automobilistico in questo indice: Tesla, General Motors, Apple e Microsoft sono solo alcune delle più note, ma la lista è piuttosto lunga. A supportare questa ipotesi ci sono le parole di Apple, che ha dichiarato la scorsa settimana che le vendite di iPhone 12 sono state rallentate dalla disponibilità di alcuni componenti. Inoltre, mercoledì scorso, General Motors ha avvertito che una carenza globale di semiconduttori ridurrà la produzione quest’anno poiché la casa automobilistica prevede tempi di fermo in tre stabilimenti.
Non è chiaro quanto a lungo la carenza di chip durerà. IHS stima problemi per tutto il 2021, mentre la stessa General Motors è più ottimista, prevedendo un ritorno alla normalità nel corso del terzo trimestre. Quello che per il momento è sicuro è il fatto di trovarci nel bel mezzo delle avvisaglie della tempesta perfetta. Da marzo 2020 il Nasdaq è cresciuto vertiginosamente, come mostrato dal grafico Trendycator qui sotto: per il Nasdaq-100 dai 7.000 punti base di marzo scorso siamo passati ai quasi 14.000 della scorsa settimana, e valori simili sono stati registrati dal Nasdaq Composite.

L’ultima volta che si è verificata una crescita simile in così poco tempo è stato all’inizio del Nuovo Millennio, in concomitanza con la bolla delle dot-com, ovvero delle società di Internet. Allora, dopo tre anni di incessante crescita, l’indice collassò fra il 2000 e il 2001. Questo elemento, insieme al fatto di trattarsi ancora una volta di aziende del settore tecnologico, possono far pensare a una nuova bolla speculativa, le cui analogie con quelle del 2000 abbiamo analizzato sul nostro Webcast, che potete recuperare a questo link.
Tutto questo, però, non significa che la tempesta si abbatterà sicuramente, con nessuna possibilità di evitarla, anzi. Innanzitutto, l’analogia che abbiamo menzionato sul nostro Webcast è puramente grafica: l’indice Nasdaq era completamente diverso da quello dei nostri giorni, con solamente alcune società rimaste al suo interno ancora oggi. Inoltre, non sembra trattarsi di una bolla, ma solamente di una possibilità di una carenza di semiconduttori nei prossimi mesi, che potrebbe avere un impatto sul mondo finanziario. C’è inoltre da dire che il Nasdaq è cresciuto molto nell’ultimo anno anche grazie alla naturale spinta dell’industria tecnologica che, come dicevamo in apertura, dallo scoppio della pandemia è diventata onnipresente nelle nostre vite di tutti i giorni.
Conclusioni sul futuro del Nasdaq
In conclusione, non sappiamo dunque se il Nasdaq effettivamente arresterà la sua corsa all’improvviso: magari, più semplicemente, crescerà a un ritmo più contenuto, oppure si stabilizzerà finché la crisi dei chip non sarà risolta. Nel frattempo, dati incoraggianti arrivano da Qualcomm, il più grande produttore di semiconduttori per la connessione di smartphone alle reti Wi-Fi. Le proiezioni pubblicate dall’azienda sul primo trimestre del 2021 sono infatti un indicatore da tenere costantemente monitorato per cercare di capire se la tempesta si abbatterà o meno sul Nasdaq. I risultati sono stati sorprendenti: nel primo trimestre fiscale, Qualcomm ha dichiarato che le entrate sono state di 8,24 miliardi di euro, con gli analisti che avevano previsto entrate per 8,25 miliardi. L’utile netto è invece stato di 2,12 dollari per azione, rispetto alla stima fatta da Wall Street di 2,09 dollari. Dunque, si tratta solamente di stare a osservare: il tempo ci dirà se la tempesta arriverà.
In questo clima di incertezza potremmo suggerire ai lettori di RendimentoFondi, allettati dai nostri recenti articoli sui fondi tecnologia ma che non hanno una esposizione diretta verso questo mercato, di inserire i titoli in watchlist e attendere lo sviluppo di questa potenziale criticità prima di decidere se investire in questo settore. Vi terremo ovviamente sempre informati per mezzo del nostro Magazine e dei nostri articoli.